TITOLO DEL MESE SETTEMBRE-OTTOBRE 2024: “L’ETICA DEL VIANDANTE” di Umberto Galimberti (Settembre 2023), pag. 480, Casa Editrice: Feltrinelli. Prezzo: 22.00 euro.
Perché leggere questo libro? Umberto Galimberti, sicuramente uno dei più famosi filosofi italiani, ripercorre in questo libro le vicissitudini dell’etica nella storia dell’Occidente, passando dall’etica greca a quella cristiana, all’etica sul modello scientifico dell’età moderna, all’etica dell’intenzione di Kant, a quella della responsabilità di Max Weber, per rifocalizzarsi sull’etica del mondo attuale, ormai sgretolatasi di fronte al dominio incontrollato della tecnica, simbolo dominante assoluto della nostra era. È possibile recuperare per l’uomo un nuovo umanesimo, che lo sottragga alla gelida razionalità della tecnica, tutta incentrata su efficienza e performance? Riuscirà l’uomo a generare nuovi ideali in cui credere che lo riportino in armonia con la Terra, con la Natura che lo circonda? Galimberti propone una nuova etica, l’etica del viandante, in cui l’uomo si riappropria della propria capacità di pensare e di rapportarsi in modo diverso, più autentico con sé stesso, con gli altri uomini e con tutto ciò che esiste sulla Terra.
L’antichità classica del mondo greco e la tradizione giudaico-cristiana sono le fondamenta della società e del pensiero occidentale. Tali due sistemi, nonostante siano completamente diversi tra loro, hanno descritto entrambi un mondo dotato di ordine e di stabilità. Il mondo greco poneva al centro della vita la Natura, il suo andamento ciclico del tempo, che si esprimeva in nascita, crescita, generazione, e morte. Il senso del limite, nel rispetto profondo della Natura dominante, era il fondamento esistenziale della cultura dell’uomo greco.
Il rapporto dell’uomo con la Natura mutò radicalmente con la religione giudaico-cristiana, che con la sua visione antropocentrica, pose l’uomo al centro del creato, vero dominatore della Natura. Con il Cristianesimo cambiò anche la percezione del tempo, che non era più ciclico come nel mondo greco, ma lineare, con visione escatologica; scompariva così la morte che veniva sostituita con la promessa della vita eterna alla fine dei tempi. Il futuro veniva percepito sempre in senso positivo, ottimistico; il passato era peccato, il presente redenzione, il futuro salvezza. La cultura, il pensiero, persino la scienza del mondo occidentale si sono fondati, secondo Galimberti, su questo principio di speranza nel futuro, nel suo perenne progresso lineare.
Negli ultimi decenni, questa visione ottimistica del futuro si sta progressivamente sgretolando di fronte all’ingresso prepotente del mondo della tecnica. E ciò che deve essere fatto non lo decide più l’uomo, o la politica, ma il protocollo, l’algoritmo. Il tutto per rispettare i criteri della tecnica: efficienza, produttività, funzionalità e velocizzazione del tempo. La tecnica subordina tutto alla sua razionalità, anche l’uomo, divenuto cosa tra le cose.
Heidegger, intervistato nel 1966 dalla rivista Der Spiegel aveva già previsto il tutto: “Tutto funziona, questo è il problema, il processo non si può fermare. Ormai solo un nuovo Dio ci può salvare”. La velocizzazione del tempo, la crescita esponenziale delle scoperte tecnologiche che si autoalimentano in totale mancanza di orizzonti, ideali e scopi, il tutto associato ad una capillare lotta all’irrazionalità sono alla base dello spaesamento attuale dell’uomo. “Spaesamento” significa che il paesaggio in cui quotidianamente viviamo non ci offre criteri a cui fare riferimento per riflettere sulla vita che conduciamo, sui comportamenti che pratichiamo, sulle idee che escogitiamo per giustificare le nostre condotte. L’uomo, immergendosi nella catena del fare, smarrisce la propria identità, e perde di vista sé stesso, vivendo spesso separato nel mondo e dal mondo. Come ci si può salvare da questo mondo tecnologico allora? Umberto Galimberti, propone l’etica del viandante, concetto introdotto a fine ‘800 da Friedrich Nietzsche in “Umano troppo Umano” e in “Così parlò Zarathustra”.
Il viandante, a differenza del viaggiatore, viaggia per conoscere (e non per arrivare), non segue un tracciato, non cerca una meta. Il suo sentiero è costruito dai suoi passi, sono le sue orme che costruiscono il suo sentiero. Il suo è un percorso nomade e intenzionalmente privo di uno scopo finale, che sia la casa, la patria, l’amore, la verità, la salvezza. Il viandante non possiede, cammina e osserva, riflette e si nutre delle proprie sensazioni, dei propri pensieri. Capisce che l’umanesimo del dominio è un umanesimo senza futuro. Comprende che la Terra va percorsa senza possederla, ricercando un rapporto autentico con la Natura perché sa che la sua vita le appartiene. Camminando, il viandante inoltre fa esperienza della differenza, di un prossimo diverso da lui. Capisce che i confini sono più nella testa degli uomini che nel disegno della Terra e considera il fatto che tutti quanti noi siamo uomini di frontiera e i processi migratori a cui stiamo assistendo confondono i confini.
Territori e confini generano “la logica del nemico” che ha sempre condotto a guerre, violenze, massacri. Un processo progressivo di deterritorializzazione potrebbe veramente essere il modo per risolvere gran parte dei conflitti tra popoli e nazioni. Il viandante si persuade di dover oltrepassare, trascendere la propria cultura, la propria religione per estendere a tutta l’umanità il proprio sentimento di fraternità. Il trascendimento va esteso anche a tutti gli esseri animati e inanimati, come già intuito da Francesco d’Assisi, che nel Cantico delle Creature chiamava “sorella” l’acqua e la luna, “fratello” il vento e il sole.
Paradossalmente anche l’economia e la tecnica nella loro dimensione planetaria inviterebbero l’uomo ad un processo di deterritorializzazione; la tecnica manca però di un’etica planetaria, ormai indispensabile per la conservazione della specie umana. La deterritorializzazione e la fraternità saranno la base per la crescita di un uomo nuovo, viandante inarrestabile, sciolto dai vincoli della proprietà, del confine e della legge, che vede la Terra come dimora da salvaguardare, perché unica vera dimora dove ci è concesso di vivere. Un uomo che rimane viandante nei suoi pensieri, alla perenne, incessabile ricerca di un’etica empatica ed armonica con sé, con gli altri umani e non umani, animati e non animati, che convivono con lui sulla Terra.