TITOLO DEL MESE MARZO-APRILE 2024: “LA CRISI DELLA NARRAZIONE. Informazione, politica e vita quotidiana ”di Byung-Chul Han (Febbraio 2024), pag. 120, Casa Editrice: Einaudi (Stile Libero Extra). Prezzo: 13.00 euro.
Perché leggere questo libro? Byung-Chul Han, filosofo contemporaneo tra i più influenti nel patrimonio filosofico occidentale, propone una sua personale meditazione sulla crisi della narrazione nella società liberal-capitalistica. Secondo il filosofo di origine sud-coreana, tedesco di adozione, nella nostra società si sta progressivamente perdendo la capacità di narrare. Ma perché è così grave perdere la narrazione? Cosa lega la narrazione al nostro pensiero, al nostro vivere collettivo, alla nostra capacità empatica di provare sentimenti, emozioni, alla sacralità nel dare un senso alla nostra vita? Come e perché il consumismo, il nostro modo di vita liberal-capitalistico sta trasformando il nostro pensiero, sostituendo la nostra capacità di narrare, con il mezzo comunicativo dell’informazione?
Nonostante di narrazione si parli ormai in qualsiasi ambito, è proprio in questo momento storico in cui più si avverte la profonda crisi identitaria della narrazione. La narrazione scatena emozioni nel sistema limbico pre-coscienziale evitando almeno parzialmente una partecipazione dell’intelletto al nostro comportamento. Di questo ne sono consci gli operatori commerciali pubblicitari e di marketing creatori dello storytelling. Grazie allo storytelling il capitalismo si è appropriato della prassi narrativa e la sottomette alle regole del consumo. Lo storytelling abbina racconti all’oggetto in vendita, cercando di animare, dare forma e senso agli oggetti di consumo, che così si caricano emotivamente, promettendo esperienze uniche con il loro possesso. Sono così nati, corsi universitari, master dove si insegnano tecniche di comunicazione e marketing finalizzati allo storytelling al fine di vendere più efficacemente un prodotto o per impressionare comunità a fini elettorali o politici. La narrazione è diventata storytelling e lo storytelling sta diventando storyselling. Anche il modello narrativo occidentale neoliberale tutto incentrato sui raggiungimenti della performance personale, dell’ottimizzazione di sé, e sulla propria realizzazione stanno distruggendo le basi comunitarie su cui era fondato il modello antico di narrazione. Tale modello strettamente indirizzato al perseguimento di fini individuali non genera alcuna coesione sociale, distrugge tanto la solidarietà, quanto l’empatia; ognuno di noi resta isolato dagli altri, rende omaggio solo a sé stesso, in una sacralizzazione quasi religiosa del proprio io. Le stesse storie condivise sulle piattaforme social non sono in grado di rimuovere il vuoto narrativo e non sono nient’altro che una pornografica esibizione o promozione di sé stessi. Postare, mettere like e condividere sono pratiche consumistiche che non fanno altro che intensificare la crisi dell’esperienza narrativa. Lo smartphone permette solo uno scambio sempre più veloce di informazioni, mentre raccontare presuppone di contro un restare in ascolto e un’attenzione profonda al racconto e alla persona, allo sguardo, alla gestualità, al tono emotivo della voce, all’intera persona corporea che sta raccontando. La comunità narrativa è una comunità i cui partecipanti hanno la pazienza di raccontare e la pazienza di restare in ascolto. Questo genera vincolo e legame, empatia, appartenenza, crea una comunità. La nostra società invece vive di informazioni. L’informazione è l’alter ego della narrazione. L’informazione non sopravvive oltre l’attimo stesso in cui viene annunciata; l’informazione si consuma nell’istante della sua novità, vive solo in quest’attimo e a quest’attimo deve interamente consegnarsi e spiegarsi senza perder tempo. Diversa è la narrazione perché dentro a sé vi abita una vibrazione narrativa che fornisce alla notizia un’estensione temporale che oltrepassa la contingenza, l’attimo presente e sopravvive al tempo. L’arte di narrare lascia libera la storia da ogni sorta di spiegazioni; la spiegazione mancante aumenta la tensione narrativa sia in chi racconta, ma soprattutto in chi ascolta, animandola e scolpendola nel tempo.
La vita dell’uomo è narrazione. Il pensiero è narrazione. L’essere umano, in quanto animal narrans, si distingue dagli altri animali per il fatto che narrando realizza nuove forme di vita. La crisi della narrazione colpisce l’uomo nelle sue più profonde capacità di dare senso alla propria vita, di cristallizzare l’accaduto al di fuori della frammentarietà del tempo, di condividere nella vita collettiva le esperienze e le sensazioni emotive che la accompagnano.
L’uomo ha da sempre narrato la propria vita, dapprima all’interno del proprio pensare, poi nella capacità di trasmettere e tramandare agli altri con la parola non solo le proprie esperienze di vita, ma anche miti e saggezze antiche che creano senso di appartenenza e coesione, nella bellezza di quel “tempo sospeso” in cui tutto è puro incanto, al di fuori della frammentarietà del tempo. Byung-Chul Han cita Roquentin, protagonista de “La nausea” di Sartre, che riesce a dominare la nausea della propria esistenza nel momento in cui decide di raccontarla. Solo narrandola l’esistenza acquista un ritmo fluido, comprensibile, una coesione di eventi ed emozioni che si elevano al di sopra della nudità di una vita priva di senso.
Byung-Chul Han ricorda inoltre la frase celebre di Isak Dinesen “Ogni pena può essere sopportata se la si narra, o se se ne fa una storia”. Il racconto e la narrazione così diventano terapeutici e guaritore è colui che affina la capacità di ascolto. Il narrare il proprio accaduto e le storie della nostra vita diventano momenti di efficace terapia del nostro profondo. La narrazione solleva l’esistenza dalle proprie pene e anziché comprimersi e solidificarsi in un blocco mentale esse si fluidificano nella corrente narrativa. il fine terapeutico del saper ascoltare viene esemplificato da Byung-Chul Han nel personaggio di Momo di Michael Ende, una bambina dal silenzio gentile e attento, che ascoltava con grande attenzione e vivo interesse, mentre teneva fissi i suoi vividi grandi occhi scuri sull’altro. L’ascolto di Momo faceva emergere pensieri riposti dove e chissà dove e la persona libera di raccontarsi all’altro rimuoveva i blocchi narrativi e iniziava il suo processo di guarigione. Ascoltare non è assolutamente una condizione passiva, ma condizione essenziale per ispirare ad aprire uno spazio di risonanza all’interno del quale colui che racconta si sente inteso, ascoltato ed amato.
Cosa si può fare per far rinascere una forma autentica di narrazione nella nostra società? Byung-Chul Han lascia una visione pessimistica della realtà attuale, considerata l’incapacità delle forze politiche attuali di immaginare qualcosa di diverso, trascinandosi da un problem solving ad un altro problem solving.